Carne rossa, salute e circolazione del sangue

30 Dec 2017 no comments Carlo Gaudio

Eliminare la carne dalla dieta sarebbe un grosso errore. Ecco perché

Piero de’ Medici, signore di Firenze dal 1464 al 1469 e padre di Lorenzo il Magnifico, era chiamato “Piero il gottoso”. Luigi XIV, il Re Sole, soffriva anche lui di gotta. Una patologia che conoscevano bene sia Ippocrate (460-370 a.C.) che Sofocle (496-406 a.C.), il quale nel Filottete la descriveva con precisione: “Viene questo male di tempo in tempo, quando forse del suo errare è sazio (…) tremendo è il peso del mio male (…). Piede, quale male a me tu fai! (…) Tu mi uccidi, qualora tu mi tocchi”.

La gotta era la malattia dei re e dei papi, degli opulenti, legata al consumo eccessivo di carni, di insaccati, di formaggi, di dolci, ovvero a un’alimentazione che nei secoli passati e fino al secondo dopoguerra era appannaggio dei più ricchi. Ma nei decenni dopo la guerra, con la ripresa dei consumi e la miglior distribuzione della ricchezza, l’incidenza della gotta è andata progressivamente declinando, interessando oggi solo l’1% della popolazione nel nostro Paese. Nessuno, oggi, mangia la carne tutti i giorni e i tradizionali pranzi della domenica, che una volta vedevano sulla tavola immancabilmente pasta ripiena e carne, oggi sono molto più vari ed equilibrati. Inoltre pesce e carni bianche si alternano a carni rosse e derivati.

L’eliminazione della carne, che alcune diete e alcuni “esperti” indicherebbero, sarebbe invece un grosso errore. La carne rossa, infatti, contiene ferro, vitamine del gruppo B, fosforo e grassi di altissima qualità. E, soprattutto, è una delle migliori fonti proteiche e tutti sappiamo quanto le proteine siano importanti per la nostra salute.

Due studi sul consumo di carne rossa
Nell’ultimo decennio, due studi controllati hanno misurato i marcatori di infiammazione in risposta a una maggiore assunzione di carne rossa. Entrambi hanno evidenziato che la carne rossa non innalza in alcun modo il livello di questi marcatori.

Il primo ha concluso che l’aumento del consumo di carne rossa in sostituzione ai carboidrati nella dieta di soggetti non anemici non aumenta i marcatori di infiammazione (Jonathan M. Hodgson, Natalie C. Ward, Valerie Burke, Lawrence J. Beilin, Ian B. Puddey, Increased Lean Red Meat Intake Does Not Elevate Markers of Oxidative Stress and Inflammation in Humans, J. Nutr., February 2007, vol. 137, 2, 363-367).

L’altro studio ha dimostrato che, nelle donne anemiche, i marcatori di infiammazione in una dieta ricca di carne rossa non erano significativamente più alti rispetto a quelli in una dieta ricca di pesce azzurro (Santiago Navas-Carretero, Ana M. Pérez-Granados, Stefanie Schoppenn and M. Pilar Vaquero, “An oily fish diet increases insulin sensitivity compared to a red meat diet in young iron-deficient women”, British Journal of Nutrition 2009, vol. 102, 4, 546-553).

Questi risultati suggeriscono che la carne rossa non provoca una risposta infiammatoria maggiore rispetto alle altre carni nella maggior parte delle persone ed è potenzialmente meno infiammatoria dei carboidrati.

Carne rossa e vitamina B12
Ma la carne rossa ha anche un’altra importante caratteristica: è una delle principali fonti di vitamina B12. Le vitamine del gruppo B (B6, B9, B12), sono molto importanti, perché aiutano a prevenire l’arterosclerosi, in quanto sono in grado di abbassare i livelli di omocisteina nel sangue: questo aminoacido è stato infatti messo in relazione – quando presente in grandi concentrazioni – con la formazione della placca aterosclerotica.

L’apparato cardiocircolatorio è costituito dal cuore e dai vasi sanguigni (arterie, vene e capillari) al cui interno circola il sangue, che porta ossigeno e nutrimento a tutto il corpo. Questo apparato è soggetto a importanti patologie degenerative – quali l’aterosclerosi – che provocano indurimento delle arterie e placche stenosanti il lume vasale, colpevoli di trombosi, infarto del miocardio e ictus cerebrale.

La vitamina B12 (cobalamina) è dunque un nutriente essenziale per molte funzioni del nostro corpo, ma purtroppo parte della popolazione ne è carente. Inoltre, la stragrande maggioranza delle persone non è consapevole che una carenza di vitamina B12 può essere responsabile di una serie di sintomi non immediatamente riconducibili ad uno stato carenziale (circa il 50% dei pazienti con malattie subcliniche).

Altri ritengono che alcuni alimenti vegetali contengano una sufficiente percentuale di B12, ma diversi studi hanno dimostrato che il corpo umano non è in grado di utilizzare il modulo a base vegetale di vitamina B12, il che significa che vegetariani e vegani sono ad alto rischio di sviluppare una carenza di questa vitamina, nonostante essi includano nella loro dieta alimenti vegetali che contengono una certa percentuale di B12.

È bene ricordare che una condizione patologica nota come anemia perniciosa – per fortuna abbastanza rara – è dovuta alla carenza cronica di vitamina B12, importante per la corretta maturazione degli eritrociti. Questa grave condizione, i cui primi sintomi sono confusione, lentezza, irritabilità e apatia, può portare – se non trattata – ad alcune forme di demenza e alla morte.

Lo studio “PURE”
Infine, citiamo ancora il più recente studio osservazionale “PURE” (Prospective Urban Rural Epidemiology) condotto dall’Università di Hamilton in Ontario, che aveva come primo obiettivo l’analisi dell’impatto dell’urbanizzazione sulla prevenzione primordiale (come ad esempio l’attività fisica o l’alimentazione), sui fattori di rischio cardiovascolari (come l’obesità, la dislipidemia, l’ipertensione arteriosa) e dunque sull’insorgenza di malattie cardiocircolatorie.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati nell’agosto scorso sulla prestigiosissima rivista scientifica Lancet. Per poter arrivare a stabilire un’associazione tra l’assunzione di carne e grassi o carboidrati e l’impatto sul sistema cardiocircolatorio, gli scienziati canadesi hanno analizzato le abitudini alimentari dei partecipanti allo studio, i quali dovevano riportare in un questionario la dieta seguita e lo stile di vita adottato. L’analisi è stata condotta su 135.335 soggetti, di età compresa tra i 35 ei 70 anni, arruolati tra il 2003 e il 2013, provenienti da 18 Paesi e da cinque Continenti, a basso medio e alto reddito.

I risultati dello studio hanno permesso ai ricercatori di osservare come gli individui inseriti nella classe ad alto consumo di carboidrati avessero un rischio di mortalità aumentato del 28%, rispetto a quelli appartenenti alla classe con più basso consumo di zuccheri. Al contrario, le persone inserite nella fascia alta per consumo di carne e grassi mostravano una riduzione del 23% del rischio di mortalità totale ed in più anche una riduzione del 18% del rischio di ictus e del 30% del rischio di mortalità per cause non cardiovascolari. In questi stessi soggetti la riduzione del tasso di mortalità variava in relazione al tipo di grasso assunto: -14% per i grassi saturi; -19% per i grassi monoinsaturi; -29% per quelli polinsaturi (Dehghan M., Mente A., Zhang X. et al., “Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality in 18 countries from five continents (PURE): a prospective cohort study”, Lancet, 29 August 2017).

Un consumo corretto di carni rosse (in 2-3 pasti a settimana) deve essere dunque sempre considerato positivo per la salute del cuore e della nostra circolazione.

Carlo Gaudio
Comitato scientifico COSNALA

 

Bollito misto di carne con tre salse per accompagnarlo

11 Dec 2017 no comments Redazione

ingredienti per 4 persone

  • 600 g di carne manzo per bollito
  • 400 g di carne di vitellone per bollito
  • 500 g di carne di gallina, o cappone, o pollo
  • 15 grammi di sale grosso
  • 4,5 litri di acqua
  • 1 carota
  • 1 grossa cipolla
  • 2 coste di sedano
  • 2-3 foglie di alloro
  • 2-3 rametti di timo
  • Pepe

per la salsa ai peperoni

  • 300 g di peperoni sott’olio
  • 20 g di capperi sott’aceto
  • 2 pomodori secchi sott’olio
  • Olio extravergine di oliva

per la salsa maionese

  • 1 uovo a temperatura ambiente
  • Il succo di mezzo limone
  • 200 ml di olio di semi
  • 1 pizzico di sale

per la salsa verde

  • 1 mazzetto di prezzemolo
  • 1 spicchio d’aglio
  • 2 filetti di alici sott’olio
  • Olio extravergine d’oliva
  • Sale
  1. In una capace pentola (alta e stretta) portare l’acqua a bollore insieme a cipolla, carota, sedano, alloro e timo legati con lo spago in un piccolo mazzetto. Appena l’acqua bolle, aggiungere il sale e immergere la carne.
  2. Dopo qualche minuto di cottura, iniziare a “schiumare” il grasso ed eventuali impurità che cominciano ad affiorare in superficie con un mestolo forato.
  3. Abbassare il fuoco al minimo, in modo che il bollore sia solo leggerissimo e non sfilacci le fibre della carne rendendola dura e stopposa, e proseguire la cottura per circa 3 ore.
  4. Nel frattempo, preparare le salse.
  5. Per la salsa ai peperoni. Scolare accuratamente i peperoni, sciacquare i capperi e strizzarli, e asciugare i pomodori secchi con carta da cucina.
  6. Tritare tutto insieme, aggiungendo un pizzico di sale, con un frullatore ad immersione, e trasferire in una coppetta.
  7. Per la salsa maionese. In un contenitore stretto e alto, frullare con il frullatore ad immersione tutti gli ingredienti (rigorosamente a temperatura ambiente) per 5 minuti, fino ad ottenere una consistenza omogenea e setosa. Trasferire in una coppetta.
  8. Per la salsa verde. Lavare e mondare il prezzemolo eliminandone i gambi, poi trasferirlo nel bicchiere del frullatore ad immersione insieme all’aglio, le alici, poco sale a piacere e un filo d’olio, e frullare brevemente. Aggiustare di olio e trasferire in una coppetta.
  9. Trascorso il tempo di cottura della carne, togliere dal fuoco ed estrarre la carne dal brodo, lasciarla leggermente intiepidire e poi tagliarla a fette o ridurla in pezzi con le mani.
  10. Servire subito accompagnandola con le tre salse (se non servite la carne subito conservarla nel proprio brodo per mantenerla morbida).

Insalata con coppa, agrumi e finocchietto selvatico

11 Dec 2017 no comments Redazione

ingredienti per 4 persone

  • 200 g di coppa di testa di maiale tagliata a fettine di 4 o 5 mm di spessore
  • 200 g di insalata da taglio mista
  • 2 finocchi piccoli
  • 1 arancia non trattata
  • 1 limone non trattato
  • 1 pompelmo rosa
  • finocchietto selvatico in polvere
  • olio d’oliva
  • sale e pepe
  1. Tagliare la coppa prima in listarelle sottili, e poi in cubetti con un lato non più grande di 4 o 5 mm e tenere da parte.
  2. Lavare il finocchio, tagliarlo a metà e poi a fettine sottili, lavare l’insalata e tenere entrambi da parte.
  3. Lavare l’arancia e il limone e pelare al vivo il pompelmo.
  4. Tagliare gli agrumi a fettine, e poi l’arancia e il pompelmo a loro volta a spicchietti.
  5. In una capace insalatiera, unire il finocchio all’insalata, agli agrumi e ai cubetti di coppa, poi aggiungere il finocchietto selvatico, poco sale a piacere, pepe e un filo d’olio.
  6. Mescolare e servire.

 

La coppa di testa di maiale

La coppa di testa di maiale è un insaccato cotto di carne suina. La sua origine sembra risalire all’800, nelle Marche, in area maceratese. Attualmente, la coppa è patrimonio comune di alcune regioni del centro Italia come Marche, Umbria, Emilia Romagna, Toscana e Abruzzo. Si tratta di un prodotto che nasce dall’esigenza di utilizzare anche le parti meno nobili del maiale, rimaste dalle altre lavorazioni. Si ottiene mettendo a bollire, in abbondante acqua salata, gli scarti del maiale per circa quattro ore, dopo un’accurata pulizia. La carne ottenuta viene mescolata e condita con sale, pepe e noce moscata e riposta all’interno di una vescica di bovino o in un sacchetto di juta e, in ultimo, appesa in un luogo fresco a riposare. È un salume adatto agli antipasti, affettato sottile o a cubetti, oppure come accompagnamento per pane, bruschette, tigelle e crescentine, o anche per la polenta. Ideale in un’insalata croccante come quella di questa ricetta, con l’aggiunta di agrumi e finocchietto selvatico. Altri accostamenti di sapori potranno essere alloro, olive nere, aglio, pepe o peperoncino.

Dati 2017: giro di boa nei consumi della carne

06 Dec 2017 no comments Redazione

Inversione di tendenza nel mondo della carne rossa. Aumentano i consumi delle famiglie e i mercati registrano segnali positivi

Buone notizie per la filiera zootecnica. Il 2017, infatti, può essere considerato l’anno del giro di boa per la carne rossa, sia per la produzione che per i consumi. Ma vediamo perché.

Il primo importante elemento è l’arresto registrato nella caduta dei consumi di carne bovina, con un aumento della spesa del 2,2% (variazione relativa al periodo gennaio-settembre 2017, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Questo dato è particolarmente rilevante se si considera la crescita contenuta delle quantità acquistate, che hanno registrato solo un +0,7%; segnale inequivocabile che i consumatori hanno indirizzato le loro scelte verso carni di prezzo medio più elevato (+1,5%).

Dopo anni di crisi, nei primi nove mesi del 2017 si sono registrati segnali positivi anche dai mercati. I prezzi degli animali delle principali categorie di bestiame sono in lieve crescita a livello europeo, con un conseguente aumento della competitività nazionale: +1,6% per i vitelloni rispetto a gennaio-settembre 2016 e, a causa di una minore offerta, +7,5% per le vacche da macello.

Pollice in alto per il mercato della carne bovina, dunque, che trova conferma anche in un aumento in termini di capi macellati (+4% nel periodo gennaio-settembre 2017, secondo i dati dell’Anagrafe Zootecnica). Ciò è avvenuto malgrado l’offerta nazionale di carne risulti in leggera contrazione per la riduzione del numero di bovini adulti provenienti dal circuito del latte.

Le aspettative nei prossimi mesi da parte degli operatori sono piuttosto positive, come conferma anche la crescita degli acquisti dall’estero di capi da ristallo, ossia capi il cui ingrasso è realizzato in una stalla diversa da quella usata per lo svezzamento. Dopo la progressiva flessione registrata nel quinquennio 2011-2015 e l’accenno di ripresa nel 2016, le importazioni di bovini vivi destinati all’ingrasso hanno segnato un deciso aumento nel 2017 (+4,3% nei primi sette mesi del 2017, pari a oltre 20 mila capi).

Andamento opposto, invece, per le importazioni di carni che hanno evidenziato un’ulteriore contrazione nel 2017 (-2,8% rispetto al periodo gennaio-luglio dello scorso anno). In particolare è diminuita la quantità di carni in arrivo dalla Francia (-6,5% in volume), dai Paesi Bassi (-1,7%) e, seppure in misura contenuta, dalla Polonia (-0,2%).

Leggi il documento completo, corredato di grafici e tabelle sul sito ISMEAMERCATI

Redazione

Non tutti i grassi vengono per nuocere

07 Nov 2017 no comments Giorgio Calabrese

Al contrario di quanto molti credono, i grassi della carne non fanno sempre male. E il colesterolo può essere controllato con facili accorgimenti. Ecco quali.

Molte credenze alimentari fasulle hanno preso piede nel pensiero comune e determinano le scelte a tavola e al supermercato delle famiglie. Ad esempio, non tutti sanno che non c’è differenza tra il contenuto in colesterolo delle carni bianche e rosse, ciò che varia è solamente la percentuale di grassi. Anche il maiale, grazie a una costante selezione delle razze più magre, contiene quantità di colesterolo del tutto simili alle altre carni.

Ma vediamo alcuni facili suggerimenti per tenere sotto controllo il colesterolo:

  • Eliminare il grasso visibile, compresa la pelle di pollo e tacchino.
  • Evitare di preparare la carne utilizzando grassi di condimento.
  • Diminuire il consumo di frattaglie grasse, in particolar modo di cervella, alimento in cui si raggiungono concentrazioni di colesterolo superiori ai 2 grammi/100 grammi (quando il fabbisogno totale giornaliero è di soli 0,3 grammi).

Non bisogna dimenticare, infine, che i pericoli maggiori per la salute si registrano quando elevate quantità di grassi si sposano con un surplus calorico. Quindi, gli sportivi e tutti coloro che svolgono un’attività lavorativa o fisica intensa, possono permettersi di consumare qualche taglio di carne grassa in più rispetto alle persone sedentarie.

Ci sono degli aspetti positivi del contenuto lipidico della carne. A difesa di questo alimento, va detto che:

  • L’apporto di grassi totali varia in base alla specie animale e al taglio; esistono carni molto grasse, come la pancia dei suini e dei bovini, e carni molto magre, come il petto degli uccelli e le carni di coniglio.
  • Il contenuto di grassi saturi della carne è mediamente inferiore a quello dei formaggi.
  • La concentrazione di colesterolo nella carne è sovrapponibile o leggermente inferiore ai derivati del latte, ma estremamente più contenuto rispetto a quello delle uova.

Per concludere, il profilo lipidico della carne non può essere ristretto a un’unica descrizione. Esiste una variabilità troppo grande tra i vari prodotti e per questo si consiglia di privilegiare quelli con meno lipidi, con una percentuale più bassa di grassi saturi e di colesterolo.

Giorgio Calabrese
Presidente Cosnala

Cotoletta di maiale in crosta di nocciole

07 Nov 2017 no comments Redazione

ingredienti per 4 persone

  • 4 bistecchine di maiale
  • 4 cucchiai di senape inglese forte
  • 60 g di pangrattato
  • 50 g di nocciole tostate e tritate + 10 g per la finitura
  • 2 rametti di rosmarino + 1 per la finitura
  • 600 g di carote
  • 300 ml di brodo vegetale leggero
  • 1 cucchiaio di zucchero di canna
  • 60 g di burro
  • Olio d’oliva
  • Sale e pepe
  1. Lavare, pelare e tagliare la carote a bastoncini.
  2. In una padella a bordi alti e che contenga le carote di misura, scaldare il burro, aggiungere le carote, lo zucchero e un pizzico di sale.
  3. Cuocere, rimestando, per un paio di minuti, e coprire di brodo. Quando questo inizia a sobbollire, abbassare la fiamma e lasciate cuocere scoperte per circa 20 minuti, o fino a che le carote non abbiano assorbito quasi tutto il brodo.
  4. Togliere dal fuoco e condire con 10 grammi di nocciole, gli aghi di un rametto di rosmarino tritati grossolanamente al coltello, poco sale e poco pepe a piacere.
  5. Nel frattempo, tritare non troppo finemente le restanti nocciole insieme agli altri aghi di rosmarino, e mescolarli al pangrattato insieme a poco sale.
  6. Asciugare la carne con carta assorbente e spennellarla con la senape, poi passarla nella panatura a base di nocciole tritate pigiando bene affinché si attacchi alla carne uniformemente.
  7. Cuocere in padella con poco olio, 2 o 3 minuti per lato, fino a doratura.
  8. Servire con le carote glassate calde.

 

Carne, alimento essenziale nella dieta degli sportivi

24 Oct 2017 no comments Giorgio Calabrese

La carne sta attraversando un periodo di “vacche magre”, ma i suoi benefici nutrizionali restano innegabili. Soprattutto per chi pratica spesso un’attività sportiva.

L’alimentazione gioca per tutti un ruolo importante che diventa essenziale per le persone che hanno una vita molto attiva o che praticano, frequentemente o a livello agonistico, uno sport. Gli sportivi devono nutrirsi adeguatamente e scegliere alimenti che soddisfino il loro maggior bisogno di “energia”. Per loro la carne è un alimento essenziale. Ecco perché.

I benefici nutrizionali della carne derivano dalle proteine ad alto valore biologico, molto simili a quelle umane e quindi perfettamente utilizzabili dall’organismo per soddisfare i vari processi metabolici. Facciamo una prova e mettiamo a confronto le proteine della carne con quelle vegetali e vediamo cosa emerge.

Proteine animali VS proteine vegetali
Se, come abbiamo detto, le proteine animali sono molto simili a quelle umane lo stesso non si può dire per quelle vegetali, dove il grado di similitudine con i peptidi umani è inferiore. Ciò significa che quando l’alimentazione è incentrata esclusivamente su alimenti vegetali, come nella dieta vegana, il rischio di carenze nutrizionali specifiche aumenta fortemente, soprattutto se si trascura l’integrazione alimentare con amminoacidi essenziali. Nelle diete vegetariane sono consentiti alimenti come uova, latte e formaggi che sono in grado di colmare, senza troppi problemi, le carenze dovute dall’allontanamento della carne e del pesce dal piano alimentare quotidiano.

Carne e ferro
Un punto essenziale a favore della carne è determinato dal suo ottimo contenuto di ferro, decisamente superiore a quello degli alimenti di origine vegetale. Tale differenza si riscontra anche a livello qualitativo, dal momento che, a parità di ferro assunto, quello di origine animale viene assorbito in proporzioni nettamente superiori (circa 3 volte maggiori) rispetto ai vegetali. Questo è dovuto alla natura chimica del minerale che, nei cibi di origine animale, si trova principalmente in forma EME, quindi altamente biodisponibile, mentre nei vegetali il ferro è presente quasi esclusivamente come ione trivalente (Fe+++), non solubile e quindi poco biodisponibile.

Carne e vitamine
Il contenuto di vitamine nella carne è abbastanza specifico: abbondano quelle del gruppo B, specie la B12 e, in alcuni tagli grassi e nelle frattaglie, sono presenti importanti quantità di vitamine liposolubili, soprattutto la A, D e K, e, in misura inferiore, la E. La carne di manzo, in particolare, rappresenta un’ottima fonte di vitamina B12, essenziale per la sintesi degli acidi nucleici e dei globuli rossi e del tessuto nervoso.

In conclusione…
Nel mondo vegetale non ritroviamo alimenti capaci di compensare tutte le specifiche qualità nutrizionali della carne, con uguale contenuto di proteine nobili capaci, tra l’altro, di stimolare la secrezione dell’ormone della crescita (GH o Somatotropina). Senza dimenticare la ricchezza di ferro e di vitamina B12. Tutti elementi che fanno della carne un alimento di primaria importanza nell’alimentazione degli sportivi, ma anche dei ragazzi e delle donne in gravidanza.

Giorgio Calabrese
Presidente Cosnala

 

Arista di maiale alle prugne in cocotte

24 Oct 2017 no comments Redazione

ingredienti per 4-6 persone

  • 1 pezzo di arista da circa un chilo
  • 150 g di pancetta tesa tagliata molto sottile
  • 1-2 foglie di alloro
  • 1-2 rametti di rosmarino
  • 400 g di prugne secche denocciolate
  • Olio extravergine d’oliva
  • 150 ml di vino bianco
  1. Asciugare bene la carne e poi bardarla con le fettine di pancetta in modo da avvolgerla su tutti i lati.
  2. Legare bene il tutto con dello spago da cucina (in alternativa ci si può servire di una retina per arrosti), infilandovi l’alloro e il rosmarino ben lavati e asciugati.
  3. A questo punto, porre sul fuoco una cocotte in ghisa (o una pentola molto pesante munita di coperchio) con un filo di olio extravergine d’oliva e dorarvi dolcemente la carne su tutti i lati per una decina di minuti.
  4. Quando tutta la superficie della carne ha preso colore, versare nella pentola il vino bianco e lasciare sfumare dolcemente, poi incoperchiare e proseguire la cottura per 25-30 minuti. Negli ultimi 5 minuti di cottura aggiungere le prugne secche denocciolate.
  5. Spegnere il fuoco ma lasciare il coperchio per ancora almeno mezz’ora (in questo modo la carne continuerà a cuocere ma resterà tenera).
  6. Togliere lo spago o la retina e tagliare la carne a fettine sottili.
  7. Servire l’arista con le prugne, irrorata del suo sugo.

La stalla del futuro? Sostenibile, moderna e attenta al benessere animale

13 Sep 2017 no comments Maria Caramelli

L’allevamento bovino del futuro guarda ai bisogni del pianeta e tiene conto degli equilibri ambientali: qualità dell’aria e delle acque, suolo, biodiversità e qualità del paesaggio.

Tra le accuse più comunemente mosse agli allevamenti intensivi, c’è la scarsa attenzione all’ambiente. I moderni impianti di allevamento dei bovini da carne sono, infatti, considerati responsabili di un utilizzo inaccettabile di risorse come energia, acqua, suolo eccetera. Ma le cose stanno cambiando e anche più in fretta di quanto si pensi: le nuove politiche europee di crescita agronomica e zootecnica (Common Agricultural Policy), infatti, prevedono che parte dei finanziamenti vengano utilizzati dagli Stati membri per incentivare pratiche sostenibili per il clima e per l’ambiente. E la crescente domanda di alimenti prodotti nel rispetto del benessere animale e dell’ambiente ha già stimolato numerosi allevatori nel nostro Paese a cambiare la gestione delle loro aziende.

Le nuove considerazioni emerse a livello europeo in materia di tutela mettono in luce come la sostenibilità del settore zootecnico rappresenti un aspetto di cui si dovrà sempre di più tenere conto nella progettazione e nella gestione del sistema produttivo. La sostenibilità di un allevamento è determinata dalla sua incidenza sugli equilibri ambientali, che includono molteplici aspetti, tra cui la qualità dell’aria e delle acque, il suolo, la biodiversità e la qualità del paesaggio. Ma per classificare in termini di sostenibilità ambientale le differenti tipologie di allevamento è prima di tutto necessario identificare parametri oggettivi e il loro effettivo impatto ambientale. Inoltre, è necessario un approccio multidisciplinare e la collaborazione di diverse figure professionali, al fine di identificare metodi condivisi che permettano di ridurre l’impatto delle aziende zootecniche sotto i diversi aspetti: ingegneristico, agronomico, economico, veterinario e gestionale.

Un esempio virtuoso
Il Piemonte rappresenta un’eccellenza perché il mondo della ricerca, quello accademico e il comparto zootecnico si sono alleati per valutare e confrontare la sostenibilità ambientale delle aziende presenti sul territorio regionale e incentivare la diffusione di buone pratiche di allevamento, nell’ottica di un’integrazione tra sostenibilità ambientale e redditività economica.

In particolare, l’Istituto zooprofilattico sperimentale insieme al Politecnico di Torino, all’associazione La Granda e al settore Agricoltura della Provincia di Cuneo, hanno progettato una stalla innovativa per bovini da carne in grado di assicurare il benessere e la salute degli animali, ma anche il rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale, riducendo, al tempo stesso, i fattori di stress e le condizioni di scarso benessere. Un ambiente pensato per limitare il rischio di sviluppo di patologie e il conseguente ricorso a trattamenti terapeutici, con relativo risparmio economico nella gestione da parte dell’allevatore.

Il benessere degli animali, prima di tutto
Per la progettazione sono stati considerati gli aspetti architettonici che maggiormente incidono sui parametri di benessere, salute dell’animale e di sostenibilità ambientale indicati dalla normativa comunitaria. Sono stati intervistati più di 50 allevatori per arrivare a definire un modello in grado di conciliare esigenze gestionali e funzionali. Al fine di garantire l’adeguata libertà di movimento, sono stati progettati gli spazi necessari sia in funzione delle esigenze fisiologiche che di quelle etologiche degli animali. Gli spazi sono stati pensati per permettere l’interazione tra gli animali e un naturale rispetto degli schemi gerarchici. È stata ridefinita la mobilità e la coibentazione delle pareti in funzione dell’orientamento della luminosità e della radiazione solare diretta. Si è data priorità all’illuminazione naturale al fine di soddisfare le esigenze fisiologiche (rapporto luce/buio) e comportamentali (riduzione dell’aggressività). Il sistema di ventilazione è stato studiato per garantire il mantenimento di un microclima adeguato e costante all’interno della stalla tramite il controllo della circolazione, della temperatura, dell’umidità dell’aria e delle concentrazioni di gas prodotti dalla lettiera. Anche la scelta della pavimentazione e della lettiera è stata determinata dal ruolo che queste rivestono nel condizionare lo sviluppo di lesioni podaliche e di affezioni respiratorie.

Il risultato è un modello di stalla per l’allevamento di bovini da carne in cui sono stati applicati criteri di progettazione funzionale degli spazi, architettura bioclimatica e sostenibilità, finalizzati al benessere e alla salute dell’animale, alla semplificazione delle attività di gestione (pulizia e distribuzione degli alimenti) e al basso impatto ambientale. Una stalla innovativa ma progettata nel rispetto delle tradizioni zootecniche del territorio e delle sue specificità.

Il progetto ha portato alla realizzazione, grazie al contributo della Compagnia di San Paolo, di un vero e proprio plastico di stalla per bovini da carne, un modello architettonico in scala 1:100, che è in esposizione permanente a Torino, presso la sede dell’Istituto Zooprofilattico.

Maria Caramelli
Comitato scientifico COSNALA

I grassi animali non sono killer del cuore

03 Sep 2017 no comments Carlo Gaudio

Eccessivo l’allarme sul consumo di grassi. Lo ha dimostrato uno studio presentato al Congresso Europeo di Cardiologia di Barcellona

Si è chiuso a fine agosto a Barcellona il Congresso Europeo di Cardiologia che ha riunito più di 30.000 professionisti e specialisti, rappresentando la conferenza internazionale più importante nel campo della scienza, della prevenzione e cura delle malattie cardiovascolari.

In verità, poche sono state le novità nel campo delle cure farmacologiche della patologia che miete più vittime nel mondo. Al contrario, importanti quelle in campo preventivo, in particolare uno studio canadese che ha spiegato perché le continue raccomandazioni di limitare i grassi nell’alimentazione, per salvaguardare la salute del cuore, sono quantomeno eccessive.

Cosa emerge dallo studio
Un gruppo di qualificati ricercatori canadesi ha presentato i risultati del PURE (Prospective Urban Rural Epidemiology), uno studio osservazionale condotto dall’Università di Hamilton in Ontario che aveva come primo obiettivo l’analisi dell’impatto dell’urbanizzazione sulla prevenzione primordiale (come ad esempio l’attività fisica o l’alimentazione), sui fattori di rischio cardiovascolari (come l’obesità, la dislipidemia, l’ipertensione arteriosa) e dunque sull’insorgenza di malattie cardiovascolari.

Proprio nei giorni del Congresso, i risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosissima rivista scientifica Lancet. Per poter arrivare a stabilire un’associazione tra l’assunzione di grassi e carboidrati e l’impatto sul sistema cardiovascolare, gli scienziati canadesi hanno analizzato le abitudini alimentari dei partecipanti allo studio, i quali dovevano riportare in un questionario la dieta seguita e lo stile di vita adottato. L’analisi è stata condotta su 135.335 soggetti, di età compresa tra i 35 ei 70 anni, arruolati tra il 2003 e il 2013, provenienti da 18 Paesi e da cinque Continenti, a basso medio e alto reddito.

In base ai questionari compilati, i ricercatori hanno suddiviso i soggetti in diverse classi a seconda della dieta seguita, che si distingueva in base alla percentuale di calorie fornite dai diversi nutrienti (carboidrati, grassi o proteine). I dati acquisiti sono stati poi messi in relazione con quelli relativi agli eventi e alla mortalità cardiovascolare. In totale, durante il periodo di follow-up dello studio, sono stati registrati 5.796 decessi e 4.784 eventi cardiovascolari

I risultati dell’analisi ha permesso ai ricercatori di osservare come gli individui inseriti nella classe ad alto consumo di carboidrati avessero un rischio di mortalità aumentato del 28%, rispetto a quelli appartenenti alla classe con più basso consumo di zuccheri. Al contrario, le persone inserite nella fascia alta per consumo di grassi mostravano una riduzione del 23% del rischio di mortalità totale ed in più anche una riduzione del 18% del rischio di ictus e del 30% del rischio di mortalità per cause non cardiovascolari. In questi stessi soggetti la riduzione del tasso di mortalità variava in relazione al tipo di grasso assunto: -14% per i grassi saturi; -19% per i grassi monoinsaturi; -29% per quelli polinsaturi.

I risultati dello studio sono stati considerati quasi sconvolgenti e del tutto inaspettati da Mahshid Dehghan, ricercatrice del Population Health Research Institute della McMaster University e prima autrice dello studio. La Dehghan ha dichiarato a Lancet che limitare l’assunzione di grassi non migliora la salute delle persone, che  invece potrebbe trarre grandi benefici se venisse ridotto l’apporto dei carboidrati al di sotto del 60% del fabbisogno energetico totale, magari aumentando l’assunzione di grassi fino al 35%.

Dati sconvolgenti dunque? Novità assolute? Non proprio…
Già 15 anni fa le carte del rischio della Società Europea di Cardiologia avvertivano cardiologi e medici che il rischio globale cardiovascolare aumenta sensibilmente negli individui affetti anche da diabete e, precisamente, raddoppia nell’uomo e si quadruplica per la donna, ponendo dunque una grande attenzione sull’eccesso di zuccheri nel sangue.

Esattamente tre anni fa il dottor Dwight Lundell, cardiochirurgo americano di fama mondiale (già primario chirurgo al Barner Heart Hospital di Mesa, Aizona), al termine della sua lunga carriera, dichiarava che lo stato di infiammazione delle arterie è causato in primis da un sovraccarico di zuccheri e da un eccessivo consumo di oli vegetali ricchi di omega 6 (come la soia, il mais, il girasole), purtroppo tutti cibi che giornalmente (soprattutto negli USA) vengono acquistati nei supermercati e che l’industria alimentare produce e promuove. Il dottor Lundell precisava che c’è solo un modo per ridurre l’infiammazione, responsabile del deterioramento arterioso e cardiaco, ed è quello di ritornare a consumare alimenti nel loro stato naturale o non trattati industrialmente, sottolineando che “non c’è nulla di scientifico quando vi dicono che i grassi sono la causa delle malattie cardiovascolari. Il colesterolo non è l’unica causa dell’infarto, né lo sono i grassi saturi.  L’infiammazione cronica causata da sovraccarico di carboidrati – concludeva Lundell – è la via maestra per le malattie cardiovascolari, l’obesità e l’ictus”.

Un anno fa, veniva pubblicata sulla prestigiosa e diffusissima rivista “Jama International Medicine” una ricerca che svelava il legame fra l’industria americana dello zucchero e diversi scienziati di punta, finanziati per “addolcire” (è il caso di dirlo) il legame tra i carboidrati e le malattie cardiache, indiziando invece i grassi animali come l’unico vero colpevole.

L’analisi, condotta su diversi documenti interni dell’epoca (migliaia di pagine di lettere e altre carte scoperte da un ricercatore dell’UCSF, Università di San Francisco, California) – pubblicata su Jama e rilanciata al grande pubblico dal New York Times e dalla CNN – sosteneva che cinque decenni di ricerche americane su alimenti e cardiopatie potrebbero essere state pilotate dall’industria dello zucchero. Veniva ad esempio citato il cospicuo finanziamento della Sugar Research Foundation, nel 1967, di una ricerca su zucchero, grassi e cardiopatie. I risultati di quello studio, sfavorevole ai grassi, sarebbero stati utilizzati dalla Sugar Research Foundation (oggi diventata Sugar Association) per pubblicizzare lo scarso legame tra zucchero e danni alla salute cardiaca, mettendo in primissimo piano il ruolo dei grassi saturi. Uno degli autori del lavoro, Stanton A. Glantz, docente dell’UCSF, dichiarava che i finanziamenti erano stati in grado di dirottare la discussione dallo zucchero per decenni.

Dieta vuol dire privazione? No, vuol dire equilibrio
In conclusione, per chi come noi non è incline alle mode, è utile ribadire dei semplici concetti, che rimangono basilari per una sana e corretta alimentazione e, dunque, per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Ricordiamo innanzitutto che il termine dieta deriva dal greco δίαιτα, “modo di vivere”, cioè in questo caso regola nell’alimentazione, che deve essere inclusiva, ricca ed equilibrata. Basta con le diete privative, con le diete e i cibi “senza”.

Per noi Italiani, poi, il consiglio è banale. La nostra cultura secolare ha prodotto la dieta mediterranea, caratterizzata dall’equilibrio e dalla varietà dei componenti alimentari quali carboidrati, proteine e grassi. Per ciò che riguarda questi ultimi, importante è la qualità: sappiamo bene che quelli da privilegiare sono i grassi insaturi ed in particolare alcuni monoinsaturi (l’olio d’oliva) e polinsaturi (gli omega 3 del pesce e della frutta secca). La nostra dieta mediterranea, col giusto apporto anche di carni, uova e formaggi, ci protegge naturalmente dalle patologie cardiovascolari e tumorali.

“La dieta mediterranea è molto più che un semplice alimento. Essa promuove l’interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende. La dieta si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nelle comunità del Mediterraneo”. È con queste motivazioni che la dieta mediterranea, nel novembre 2010, è stata riconosciuta dall’UNESCO “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità”.

Una regola alimentare per vivere bene, a lungo e in salute e non (come spesso avviene oltreoceano) una dieta dimagrante, effimera, confezionata a tavolino.

Carlo Gaudio
Comitato scientifico COSNALA