La filiera suina, settore chiave dell’industria alimentare italiana

15 May 2017 no comments Redazione

La produzione dei salumi è un fiore all’occhiello del made in Italy. Il nostro Paese è al secondo posto nel mondo per esportazioni

In Italia, il settore della carne suina e dei salumi rappresenta un comparto rilevate per l’economia nazionale, caratterizzato da forte innovazione ma anche da tradizioni locali apprezzate in tutto il mondo. Il settore ha un valore di quasi 13 miliardi e occupa complessivamente circa 44 mila addetti.

Rappresenta uno dei segmenti principali dell’agroalimentare italiano, sia nella fase di allevamento sia per l’indotto relativo all’industria di trasformazione.

La filiera suinicola parte dall’allevamento per articolarsi negli stadi di prima e seconda lavorazione delle carni fresche ed elaborate e dei salumi.

Le aziende di allevamento suino generano un valore di circa 2,8 miliardi di euro, pari al 5,5% della produzione agricola nazionale.

La fase industriale di prima lavorazione conta 1.147 strutture di macellazione e sezionamento. La seconda, relativa alla trasformazione delle carni, produce un fatturato che sfiora gli 8 miliardi di euro e rappresenta il 6% del fatturato dell’industria agroalimentare. In tale fase sono di grande rilevanza i prodotti a denominazione d’origine, sia in termini di certificazioni riconosciute (41 riconoscimenti di cui 21 DOP e 20 IGP) sia per fatturato alla produzione (1.613 milioni di euro, al 2015, pari al 24% del fatturato complessivamente derivante dalle produzioni IGP).

Le produzioni made in Italy hanno enorme rilevanza in questo settore e il nostro Paese ha guadagnato il primo posto in ambito internazionale nelle esportazioni di carni suine trasformate, con una quota di mercato, nel 2016, pari al 14%. In particolare l’Italia è leader in Germania e in Francia e rappresenta il secondo fornitore negli Stati Uniti e Canada.

Redazione

Polpettine di carne al sugo

15 May 2017 no comments Redazione

Ingredienti per 6 persone

  • 1 cipolla
  • 300 g di carne macinata mista (manzo e maiale)
  • 2-3 salsicce
  • 400 g di polpa di pomodoro a pezzettoni in barattolo
  • 230 g di cannellini o borlotti in barattolo (peso netto)
  • Acqua, olio, sale qb
  1. In una ciotola e con l’aiuto di un cucchiaio di legno, mescolare bene la carne con la salsiccia e salare a piacere, poi preparare tante palline di 1,5 cm circa di diametro. Tenere da parte.
  2. In un’ampia casseruola far stufare in un filo d’olio la cipolla tritata finemente, poi aggiungere la polpa di pomodoro e lasciar cuocere coperto per 10-12 minuti, mescolando.
  3. Una volta che il sugo è diventato più denso, aggiungere un pizzico di sale e 200 ml di acqua, proseguendo la cottura sempre con coperchio, per altri 5-6 minuti.
  4. Aggiungere i fagioli, abbassare la fiamma e far amalgamare il sugo per altri 5 minuti, poi versare le polpettine e cuocere altri 5-10 minuti, con il tegame coperto da un coperchio. Assaggiare e aggiustare di sale se occorre.
  5. Servire calde.

Le false notizie sulle cause dell’effetto serra

15 May 2017 no comments Agostino Macrì

Gli allevamenti bovini sono ritenuti la causa primaria dei cambiamenti climatici. Ma è davvero così?

Sull’impatto ambientale degli allevamenti si dice e scrive molto, purtroppo non sempre le informazioni che circolano sono corrette. Per sgomberare il campo da notizie false che vedono il bestiame tra le cause principali dell’effetto serra, facciamo un po’ di chiarezza sull’impatto che gli allevamenti hanno sul clima e sui cambiamenti climatici in corso.

La verità su allevamenti e inquinanti
Dai processi metabolici del bestiame, è noto, si sviluppano diversi gas e in particolare l’anidride carbonica e il metano, eliminati sotto forma gassosa, per via orale e anale, e dispersi nell’atmosfera. In questo articolo parliamo dell’anidride carbonica.

L’anidride carbonica
È noto che i livelli di CO2 nell’atmosfera sono in forte aumento a causa delle attività dell’uomo e, in particolare, della combustione dei prodotti petroliferi e di altri combustibili (legno e carbone in particolare), necessaria per il riscaldamento e per far muovere i motori. Ma, ultimamente, di questo si parla sempre meno mentre pare che l’unica vera causa dell’effetto serra sia da ricercare negli allevamenti intensivi di bestiame.

In passato…
In Italia, nei primi anni del ‘900, c’era un numero di capi di bestiame superiore a quello attuale ma nessuno si preoccupava della loro produzione di CO2. Anzi, l’allevamento era considerato un ottimo elemento negli equilibri ambientali e il letame una grande ricchezza, mentre l’anidride carbonica veniva “assorbita” dalle coltivazioni foraggere mediante la fotosintesi clorofilliana.

Oggi…
Attualmente il numero di animali è diminuito e si sono evoluti i sistemi di alimentazione per utilizzare al meglio quello che gli animali mangiano. Questo comporta una diminuzione della produzione dei gas a effetto serra e rende la produzione di CO2 negli allevamenti modesta rispetto a quella delle attività umane.

Uomo e animali, chi inquina di più?
Dobbiamo, infatti, ricordare che anche l’uomo produce CO2 e la crescita demografica non aiuta: se nei primi del ‘900, sempre in Italia, eravamo circa 30 milioni di persone ridotte quasi alla fame, adesso siamo più che raddoppiati, mangiamo molto e produciamo, individualmente, più anidride carbonica. Insomma, gli animali diminuiscono e le persone aumentano.

Agostino Macrì
Comitato scientifico COSNALA

 

Otto false convinzioni sugli allevamenti italiani

15 May 2017 no comments Maria Caramelli

1. Negli allevamenti ogni giorno vengono somministrati antibiotici agli animali per farli ingrassare più velocemente
Falso. Gli antibiotici sono molecole farmacologicamente attive contro i batteri e vengono utilizzate per curare le infezioni batteriche di animali o gruppi di animali. La credenza che gli allevamenti intensivi facciano un uso quotidiano di antibiotici deriva dall’impiego, consentito in passato ma oggi assolutamente vietato in Europa, di somministrare basse dosi di antibiotici, preferibilmente con i mangimi, per accelerare l’incremento ponderale degli animali e per renderli più produttivi. Attualmente, invece, non è consentito l’uso di antibiotici se non a fini terapeutici. Infatti, con l’emergere di preoccupazioni per la resistenza agli antimicrobici di batteri isolati nell’uomo e negli animali, dal 1997 nell’Unione Europea sono stati vietati come promotori della crescita gli antibiotici utilizzati anche nel trattamento di patologie umane. L’Unione Europea ha poi vietato l’utilizzo di tutti i restanti antimicrobici utilizzati come promotori della crescita a partire dal 1° gennaio 2006. Ogni anno in Italia vengono analizzati, per la ricerca di farmaci veterinari, circa 25.000 campioni di alimenti (circa l’88% relativi al settore della carne) e solo lo 0,09% dei campioni risulta superare il limite consentito dalla legge.

2. I vitelloni devono essere trattati con ormoni per avere la muscolatura rossa soda e morbida
Falso. In Europa, la somministrazione di ormoni agli animali zootecnici è vietata per l’effetto che queste molecole possono avere nell’organismo del consumatore quando “residuano” nel muscolo, che viene consumato sotto forma di carne in cucina. Contrariamente a quanto avviene negli Stati Uniti, dove sono consentiti negli animali impianti sottocutanei a lento rilascio di ormoni, la normativa Europea utilizza il cosiddetto approccio di “tolleranza zero” per le sostanze più pericolose per il consumatore. Ogni anno in Italia vengono analizzati, per la ricerca di sostanze ad effetto anabolizzante o sostanze non autorizzate, circa 16.000 campioni di alimenti o di matrici utili a smascherare il trattamento illecito. Il numero di campioni non conformi che risulta dai rapporti ufficiali del Ministero della Salute parla di circa 0,06% di risultati non soddisfacenti.

3. La carne di maiale ha la salmonella perché ai suini piace rotolarsi nelle proprie feci
Falso. Se i suini sono allevati in spazi e strutture adeguate, tendono a mantenere pulito il luogo in cui vivono, scegliendo di defecare in una zona precisa del box. La salmonella è un batterio responsabile di enteriti a seguito di ingestione di alimenti contaminati. Tra gli oltre 1.200 tipi di salmonelle esistenti, alcune hanno una predilezione particolare per l’intestino dei suini. Per questo, tra gli alimenti più spesso responsabili di salmonellosi, ci sono i prodotti a base di uova e i prodotti della filiera suina. La presenza di questo batterio nella carne è quasi sempre da imputare a una contaminazione in fase di macellazione, quando, a seguito di manualità imprecise o non corrette, il contenuto del pacchetto intestinale può entrare in contatto con le parti della carcassa destinate all’alimentazione. Le contaminazioni possono poi trascinarsi nelle successive fasi di lavorazione, come il sezionamento o le preparazioni di altri prodotti alimentari e arrivare nel frigorifero del consumatore. È doveroso tuttavia ricordare che la corretta cottura della carne elimina il pericolo della salmonella, uccidendo le forme batteriche eventualmente presenti.

4. La carne italiana è sana ma quella degli animali francesi no
Falso. La carne che viene commercializzata in Europa, a prescindere dalla provenienza o dal luogo in cui sono avvenute le diverse fasi produttive (allevamento, macellazione, sezionamento), risponde alle stesse norme in materia di sicurezza alimentare. Ogni Paese, poi, vanta livelli culturali diversi in materia agroalimentare, tradizioni zootecniche differenti anche in base alla conformazione del territorio o alle razze di animali tradizionalmente allevate. Le differenti tipologie di allevamento o la varietà organolettica delle carni prodotte possono quindi variare tra i vari Paesi, ma il livello di sicurezza delle carni in commercio sul territorio comunitario deve essere sempre garantito.

5. Negli allevamenti non ci sono controlli
Falso. L’Unione Europea ogni anno organizza e programma i piani di controllo in materia di sicurezza alimentare. Con un approccio di verifica dal campo alla tavola, la Commissione Europea delinea i controlli che gli operatori del Sistema Sanitario Nazionale devono effettuare sul territorio e definisce i campionamenti per le analisi di laboratorio, in base al rischio che si evince dalle risultanze dei piani degli anni precedenti. All’interno di questi piani, sono inclusi anche i controlli nelle aziende della cosiddetta produzione primaria: dai mangimifici, agli allevamenti ai depositi per alimenti zootecnici o altre strutture variamente coinvolte nella filiera agroalimentare. Nel contesto di tali piani, sono effettuate verifiche sia documentali sui capi allevati, sulle ricette di farmaci o sulla scorta di medicinali veterinari detenuti in allevamento, ma anche verifiche fisiche e campionamenti, ad esempio per la ricerca di sostanze vietate nelle urine, somministrate agli animali in maniera fraudolenta. Proprio come gli esami antidoping ai calciatori dopo le gare, anche questi prelievi sono fatti a campione e senza preavviso. O ancora si effettuano verifiche relativamente alla biosicurezza, a livello di benessere che viene garantito agli animali allevati e alla qualità dei mangimi somministrati. L’Italia è la prima della classe in Europa per il numero di campioni esaminati. Il nostro Paese, infatti, effettua circa il 30% di controlli in più rispetto al minimo indicato dalle norme comunitarie.

6. I würstel sono preparati con le pelli, le ossa e gli zoccoli degli animali
Falso. Sebbene non si possa dire che le materie prime utilizzate per i würstel siano pregiate o di prima scelta, non è corretto affermare che pelli, ossa e zoccoli entrino a far parte dei loro ingredienti. Il processo produttivo dei salsicciotti da tutti conosciuti prevede che le materie prime vengano finemente triturate in un impasto omogeneo, addizionate di additivi e aromi, insaccati in un sottilissimo budello, cotti e affumicati e, successivamente, confezionati e pastorizzati. Il basso prezzo di mercato del prodotto suggerisce come, per la sua produzione, non siano utilizzati i tagli pregiati. Tuttavia, alcune aziende italiane stanno iniziando a produrre würstel con impasti di qualità, destinati a una particolare fetta di mercato.

7. I vitelli vengono tenuti in strette gabbie di legno e senza possibilità di muoversi affinché le loro carni sembrino più bianche
Falso. Il tradizionale sistema di allevamento del vitello a carne bianca, basato sulla stabulazione in gabbie individuali in legno che non consentono il normale movimento degli animali, è stato vietato grazie all’applicazione di normative comunitarie emanate agli inizi degli anni ’90. L’applicazione di tali normative, a partire dal 31 dicembre 2003, ha imposto l’eliminazione della gabbia singola a favore dei box di gruppo, per tutti gli animali al di sopra delle 8 settimane di età. È scientificamente dimostrato, infatti, che la vita di gruppo favorisce una migliore libertà di movimento, la possibilità di sviluppare stimoli diretti (tattili, visivi, olfattivi e uditivi) e un migliore adattamento alle condizioni ambientali. La stabulazione in box singoli è consentita entro i primi due mesi di età, purché vengano rispettate le dimensioni minime delle gabbie come indicato in un decreto legislativo nazionale (n. 126 del 2011). Tali gabbie, inoltre, devono garantire la possibilità di contatto tattile e visivo con altri vitelli per poter sviluppare al meglio i comportamenti sociali e le interazioni tipiche della specie.

8. Tutti i vitelli appena nati vengono allontanati dalla madre con grande sofferenza per entrambi
Falso. Negli allevamenti di vitelli da carne, i piccoli sono quasi sempre mantenuti con la madre e nutriti da essa in modo naturale fino allo svezzamento, anche perché il latte delle bovine di razze da carne non entra quasi mai nel circuito del latte alimentare ad uso umano. Tuttavia, è necessario considerare che da 10.000 anni le bovine sono utilizzate dall’uomo per la produzione sia di carne che di latte. L’allontanamento dei vitelli dalla madre è una pratica utilizzata nell’allevamento della vacca da latte, al fine di produrre latte per il consumo umano. Benché si tratti di una pratica manageriale ben diversa da quanto accade in natura, un corretto distacco dalla madre e una buona gestione dei vitelli dopo la nascita, garantiscono il rispetto delle cinque libertà fondamentali degli animali di allevamento: libertà dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione; libertà di avere un ambiente fisico adeguato; libertà dal dolore, dalle ferite, dalle malattie; libertà di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche normali; libertà dalla paura e dal disagio.

Maria Caramelli
Comitato scientifico COSNALA

La carne rossa fa male? No

15 May 2017 no comments Giorgio Calabrese

Il consumo di carne rossa non è collegato all’insorgenza di malattie. Contro le fake news dilaganti, facciamo un po’ di chiarezza

Da oltre un anno siamo bombardati da notizie contraddittorie e confuse sul consumo di carne sia rossa che bianca. Da quando, nel mese di ottobre 2015, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato un monito che avrebbe avuto l’intento di proteggere la salute e le giuste abitudini alimentari e che, invece, come un siluro, ha creato confusione e scontri ideologici tra i sostenitori e i detrattori della bistecca nella dieta settimanale.

Disinformazione su carne e salumi
Sui giornali di tutto il mondo e nel web, per tutto il 2016, sono state diffuse notizie che hanno alimentato questa confusione e trasmesso l’idea che la carne rossa potesse essere un agente cancerogeno. L’Agenzia OMS affermava che consumare salumi, prosciutto e ogni genere di carne lavorata avrebbe potuto causare il cancro, con la consequenziale conclusione che avremmo dovuto eliminare immediatamente e per sempre la carne dalle nostre tavole.

L’intervento dell’IARC (International Agency for Research on Cancer) ha fatto rilevare che i dati diffusi non facevano che confermare raccomandazioni già consolidate e più equilibrate, finalizzate “a limitare il consumo di carne”. L’Agenzia aveva pubblicato il suo rapporto sull’autorevole rivista Lancet Oncology, e aveva incluso tra le carni rosse anche la carne di maiale, manzo, vitello, agnello, pecora, cavallo e capra. Inoltre, aveva classificato il consumo di carne lavorata nel Gruppo 1, ponendola in correlazione con il tumore al colon-retto e allo stomaco.

In altre parole, la carne lavorata era stata classificata come cancerogena e inserita nel Gruppo 1, insieme ad altre 115 sostanze pericolose per la salute. come il fumo e il benzene. Ma non è così.

Per la carne, tutto il mondo non è Paese
L’OMS ha fatto di tutta l’erba un fascio, perché si è riferita soprattutto a indicazioni epidemiologiche che riguardano il mondo anglo-sassone e americano, dove si inizia il “breakfast” con bacon fritto, croissant salati con würstel e uova fritte, ma anche con maionese e salse varie che aggiungono grassi. In Italia non mangiamo così. Iniziamo la mattina con il latte e caffè o con il tè; il pranzo e la cena sono ricchi di buoni carboidrati, come cereali, pane o fette biscottate che danno una grande energia sia ai muscoli che al cuore e al cervello. Nella nostra alimentazione le proteine animali della carne sono importanti e possono essere consumate due o tre volte a settimana.

Giorgio Calabrese
Presidente Comitato scientifico COSNALA