
Carne rossa, salute e circolazione del sangue
Eliminare la carne dalla dieta sarebbe un grosso errore. Ecco perché
Piero de’ Medici, signore di Firenze dal 1464 al 1469 e padre di Lorenzo il Magnifico, era chiamato “Piero il gottoso”. Luigi XIV, il Re Sole, soffriva anche lui di gotta. Una patologia che conoscevano bene sia Ippocrate (460-370 a.C.) che Sofocle (496-406 a.C.), il quale nel Filottete la descriveva con precisione: “Viene questo male di tempo in tempo, quando forse del suo errare è sazio (…) tremendo è il peso del mio male (…). Piede, quale male a me tu fai! (…) Tu mi uccidi, qualora tu mi tocchi”.
La gotta era la malattia dei re e dei papi, degli opulenti, legata al consumo eccessivo di carni, di insaccati, di formaggi, di dolci, ovvero a un’alimentazione che nei secoli passati e fino al secondo dopoguerra era appannaggio dei più ricchi. Ma nei decenni dopo la guerra, con la ripresa dei consumi e la miglior distribuzione della ricchezza, l’incidenza della gotta è andata progressivamente declinando, interessando oggi solo l’1% della popolazione nel nostro Paese. Nessuno, oggi, mangia la carne tutti i giorni e i tradizionali pranzi della domenica, che una volta vedevano sulla tavola immancabilmente pasta ripiena e carne, oggi sono molto più vari ed equilibrati. Inoltre pesce e carni bianche si alternano a carni rosse e derivati.
L’eliminazione della carne, che alcune diete e alcuni “esperti” indicherebbero, sarebbe invece un grosso errore. La carne rossa, infatti, contiene ferro, vitamine del gruppo B, fosforo e grassi di altissima qualità. E, soprattutto, è una delle migliori fonti proteiche e tutti sappiamo quanto le proteine siano importanti per la nostra salute.
Due studi sul consumo di carne rossa
Nell’ultimo decennio, due studi controllati hanno misurato i marcatori di infiammazione in risposta a una maggiore assunzione di carne rossa. Entrambi hanno evidenziato che la carne rossa non innalza in alcun modo il livello di questi marcatori.
Il primo ha concluso che l’aumento del consumo di carne rossa in sostituzione ai carboidrati nella dieta di soggetti non anemici non aumenta i marcatori di infiammazione (Jonathan M. Hodgson, Natalie C. Ward, Valerie Burke, Lawrence J. Beilin, Ian B. Puddey, Increased Lean Red Meat Intake Does Not Elevate Markers of Oxidative Stress and Inflammation in Humans, J. Nutr., February 2007, vol. 137, 2, 363-367).
L’altro studio ha dimostrato che, nelle donne anemiche, i marcatori di infiammazione in una dieta ricca di carne rossa non erano significativamente più alti rispetto a quelli in una dieta ricca di pesce azzurro (Santiago Navas-Carretero, Ana M. Pérez-Granados, Stefanie Schoppenn and M. Pilar Vaquero, “An oily fish diet increases insulin sensitivity compared to a red meat diet in young iron-deficient women”, British Journal of Nutrition 2009, vol. 102, 4, 546-553).
Questi risultati suggeriscono che la carne rossa non provoca una risposta infiammatoria maggiore rispetto alle altre carni nella maggior parte delle persone ed è potenzialmente meno infiammatoria dei carboidrati.
Carne rossa e vitamina B12
Ma la carne rossa ha anche un’altra importante caratteristica: è una delle principali fonti di vitamina B12. Le vitamine del gruppo B (B6, B9, B12), sono molto importanti, perché aiutano a prevenire l’arterosclerosi, in quanto sono in grado di abbassare i livelli di omocisteina nel sangue: questo aminoacido è stato infatti messo in relazione – quando presente in grandi concentrazioni – con la formazione della placca aterosclerotica.
L’apparato cardiocircolatorio è costituito dal cuore e dai vasi sanguigni (arterie, vene e capillari) al cui interno circola il sangue, che porta ossigeno e nutrimento a tutto il corpo. Questo apparato è soggetto a importanti patologie degenerative – quali l’aterosclerosi – che provocano indurimento delle arterie e placche stenosanti il lume vasale, colpevoli di trombosi, infarto del miocardio e ictus cerebrale.
La vitamina B12 (cobalamina) è dunque un nutriente essenziale per molte funzioni del nostro corpo, ma purtroppo parte della popolazione ne è carente. Inoltre, la stragrande maggioranza delle persone non è consapevole che una carenza di vitamina B12 può essere responsabile di una serie di sintomi non immediatamente riconducibili ad uno stato carenziale (circa il 50% dei pazienti con malattie subcliniche).
Altri ritengono che alcuni alimenti vegetali contengano una sufficiente percentuale di B12, ma diversi studi hanno dimostrato che il corpo umano non è in grado di utilizzare il modulo a base vegetale di vitamina B12, il che significa che vegetariani e vegani sono ad alto rischio di sviluppare una carenza di questa vitamina, nonostante essi includano nella loro dieta alimenti vegetali che contengono una certa percentuale di B12.
È bene ricordare che una condizione patologica nota come anemia perniciosa – per fortuna abbastanza rara – è dovuta alla carenza cronica di vitamina B12, importante per la corretta maturazione degli eritrociti. Questa grave condizione, i cui primi sintomi sono confusione, lentezza, irritabilità e apatia, può portare – se non trattata – ad alcune forme di demenza e alla morte.
Lo studio “PURE”
Infine, citiamo ancora il più recente studio osservazionale “PURE” (Prospective Urban Rural Epidemiology) condotto dall’Università di Hamilton in Ontario, che aveva come primo obiettivo l’analisi dell’impatto dell’urbanizzazione sulla prevenzione primordiale (come ad esempio l’attività fisica o l’alimentazione), sui fattori di rischio cardiovascolari (come l’obesità, la dislipidemia, l’ipertensione arteriosa) e dunque sull’insorgenza di malattie cardiocircolatorie.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati nell’agosto scorso sulla prestigiosissima rivista scientifica Lancet. Per poter arrivare a stabilire un’associazione tra l’assunzione di carne e grassi o carboidrati e l’impatto sul sistema cardiocircolatorio, gli scienziati canadesi hanno analizzato le abitudini alimentari dei partecipanti allo studio, i quali dovevano riportare in un questionario la dieta seguita e lo stile di vita adottato. L’analisi è stata condotta su 135.335 soggetti, di età compresa tra i 35 ei 70 anni, arruolati tra il 2003 e il 2013, provenienti da 18 Paesi e da cinque Continenti, a basso medio e alto reddito.
I risultati dello studio hanno permesso ai ricercatori di osservare come gli individui inseriti nella classe ad alto consumo di carboidrati avessero un rischio di mortalità aumentato del 28%, rispetto a quelli appartenenti alla classe con più basso consumo di zuccheri. Al contrario, le persone inserite nella fascia alta per consumo di carne e grassi mostravano una riduzione del 23% del rischio di mortalità totale ed in più anche una riduzione del 18% del rischio di ictus e del 30% del rischio di mortalità per cause non cardiovascolari. In questi stessi soggetti la riduzione del tasso di mortalità variava in relazione al tipo di grasso assunto: -14% per i grassi saturi; -19% per i grassi monoinsaturi; -29% per quelli polinsaturi (Dehghan M., Mente A., Zhang X. et al., “Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality in 18 countries from five continents (PURE): a prospective cohort study”, Lancet, 29 August 2017).
Un consumo corretto di carni rosse (in 2-3 pasti a settimana) deve essere dunque sempre considerato positivo per la salute del cuore e della nostra circolazione.
Carlo Gaudio
Comitato scientifico COSNALA